Come agiamo/reagiamo a ciò che ci viene imposto
Spesso reagiamo in malo modo a ciò che ci viene imposto e il motivo è che vorremmo essere padroni del nostro destino, di ogni nostra azione, decisione o scelta, vorremmo poterla compiere nel pieno delle nostre potenzialità. Vorremmo essere in grado di costruire la nostra strada dall’inizio alla fine, per poter affermare la nostra impronta.
Proprio per questo, percepiamo e viviamo le regole, le sventure, le malattie o ciò che non scegliamo come un impaccio, una sfortuna o un’imposizione sgradita. Fatichiamo ad accettare che certi comportamenti ci vengano forzati o, altrimenti, vietati. Insomma vorremmo essere in grado di fare ciò che ci piace o ci fa comodo, senza il fastidio di sottostare o dover subire ciò che non ci aggrada.
Questo momento storico, così delicato, ce lo conferma. Negli ultimi due anni abbiamo dovuto accettare che la nostra quotidianità venisse radicalmente modificata per il bene comune: nuove regole, divieti e accortezze hanno stravolto il nostro equilibrio costringendoci a trasformare il nostro percorso e i nostri ritmi e obbligandoci a prendere un sentiero secondario da noi non scelto. Una semplice passeggiata col partner fino a qualche mese fa non era possibile, due passi col cane, raggiungere il luogo di lavoro, un’uscita tra amici o un film al cinema. Le stesse relazioni sociali, sport e attività svolte prima del lockdown, hanno subito una forte restrizione, cambiando addirittura la loro stessa natura. E noi di conseguenza, con le nostre necessità, bisogni e desideri, abbiamo subito un ordine diverso e nuovo che ci ha, in grande misura, cambiato la vita e a volte anche bloccato la strada.
Ma altrettanti sono i possibili cambi di rotta che il sentiero della vita ci costringe ad affrontare. Questi ostacoli e deviazioni ci mettono alla prova e il risultato è che la nostra persona ne esce spesso indebolita o succube.
E tra le tante imposizioni, per esempio, una malattia, una qualsiasi complicanza fisica, una debolezza mentale, la separazione dei genitori…ci pongono dinanzi alla necessità di cambiare vita e cercare una nuova propria dimensione altrove.
Il sapore di una costrizione è un cammino alternativo che non abbiamo volontariamente e coscientemente scelto di percorrere, e da lì in poi ci sentiamo di percorrere qualcosa che non ci appartiene completamente. Ciò che decidiamo noi ha un sapore deciso, propositivo e appunto nostro, se invece ci viene imposto, consigliato o semplicemente ci accade, lo affrontiamo con una sfumatura completamente diversa, come esterna ed estranea a noi, che molto spesso ci genera malumori e tristezze o rabbie eccessive, che concorrono poi ad alterare il nostro quotidiano.
Ciò che ci viene forzato, ciò che subiamo, sembra voler interrompere il nostro cammino. E così, vivere e affrontare la vita che non sentiamo nostra, la strada che qualcosa o qualcuno ci ha obbligato a intraprendere e provare ogni giorno a renderla più nostra possibile: questo è lo spartiacque, la chiave tra una reazione attiva e propositiva o viceversa, passiva e succube. Dunque in questo sta la differenza, che poi è anche il segreto per trovare stimoli e rilancio anche da una situazione non voluta e non presa; la differenza risiede proprio nel mettere coraggio e propositività nel cercare, soprattutto in noi stessi, una nuova strada che però non ci distolga all’obiettivo che ci eravamo prefissati.
Il punto cruciale per comprendere e affrontare la sottile linea tra padronanza/volontà e sottomissione/”scesa a patti col destino” non risiede infatti nell’originaria decisione di agire o di decidere tra due alternative, bensì nella forza e nella direzione con la quale reagiamo e trasformiamo un evento esterno in uno nostro e migliore. La vita consiste quindi nell’accettare ciò che ci capita sulla strada e vedere la variabile, il diverso, non come un’imposizione che blocca, ma come una proposta che stimola la nostra mente, come fosse un invito, seppur a volte negativo, a ritrovare noi stessi con nuova creatività, e da qui, guardare il nuovo punto di partenza con ritrovato spirito di padronanza del proprio percorso.
Il destino non viene definito da cosa siamo o scegliamo di essere. Il destino, il nostro destino, viene descritto da come agiamo/reagiamo a ciò che ci accade, positivo o negativo che sia, siamo padroni di come scegliamo di comportarci nel rispondere al disegno più grande a cui non possiamo porre mano.
La chiave risiede nella nostra capacità di agire con stimolo, personalità e animo attivo, propositività e coraggio sia quando scegliamo coscientemente la strada da percorrere, sia quanto la scelta è obbligata e imposta. La differenza dunque sta nella natura dell’atteggiamento che decidiamo di assumere davanti alla variabile non scelta.
Proprio per questo, per stessa natura della vita, tutto ciò che non è determinato da noi ma che ci condiziona, ci schiaccia o ci limita necessita di essere accolto con l’arte della prossemica (l’arte della giusta distanza, che ci permette di prendere appunto la corretta distanza da ciò che ci travolge); una volta stabilita la corretta distanza, e dunque padronanza, siamo in grado di rispondere a ciò che ci si pone innanzi, incanalandolo verso la direzione che più ci aggrada, e dipingendolo con una sfumatura nostra, in un cammino che riconosciamo.
Imparare dunque ad accettare ciò che il nostro cammino ci “propone/impone” e agire con forza e spirito per rendere un percorso austero, neutro e altrui, il più nostro possibile: questo è l’obiettivo che dobbiamo porci se vogliamo continuare a vivere da protagonisti anche quando sembra che qualcuno o qualcosa voglia toglierci la scena.
2 risposte
Ringrazio per questa lunga analisi e tutti i saggi consigli regalati, ho avuto la sensazione che mi appartenga tutto, sono sella situazione di dover accettare una serie di situazioni che non ho cercato, che non volevo e che purtroppo mi costringono a cambiare radicalmente l’obiettivo di tutta una vita, e ora devo mettere in pratica ciò che la Dott.ssa Anna ha scritto, non so quanto tempo mi servirà e se sarò abbastanza brava da riuscire a farlo ma devo, lo devo a me e ai miei figli che con me stanno soffrendo
Mary, con questi articoli cerco di compiere quella difficile operazione empatica di “mettermi nei panni”, in questo caso di chi in alcune situazioni può non sentirsi all’altezza. Leggere che questi consigli le appartengono mi appaga, e per ciò la ringrazio. Ho letto recentemente un libro che conteneva un proverbio, penso possa esserle d’aiuto. Diceva così: “se devo, posso”. A me piace anche il suo contrario, perché ci dà una lettura profonda, ma completa della vita e di ciò che ci “viene imposto”. “Se posso, allora devo.” Se desiderasse discuterne insieme, sono sicura che sa dove contattarmi!