La paura del diverso e come migliorare la comunicazione
La paura del diverso è un blocco naturale ed umano a ciò che non conosciamo, una reazione istintiva per difenderci da ciò che è estraneo alle nostre abitudini di vita.
Farsi vincere dalla paura, però, può limitare il nostro incontro con nuove esperienze, conoscenze e confronti: può insomma tenerci legati alla nostra zona di comfort impedendoci di crescere.
Ecco come possiamo migliorare la nostra comunicazione con ciò che definiamo diverso da noi per aprirci al nuovo: partiamo dalle definizioni.
Cos’è la paura del diverso in psicologia
La paura del diverso è quell’insieme di emozioni negative e sfavorevoli innescate e stimolate da persone con caratteristiche differenti rispetto alle nostre, come la lingua o il colore della pelle, il credo religioso o l’orientamento sessuale; ma anche il carattere, il background o il vissuto emotivo.
Le relazioni con il diverso, ne consegue, possono risultare complicate e il contatto delicato. Quanto conosciamo di questo riflesso emotivo e in che misura dobbiamo relazionarci con esso?
Innanzitutto è assolutamente normale provare paura per l’insolito e per il nuovo. Si ipotizza sia addirittura 8 mesi l’età nella quale sperimentiamo per la prima volta la paura: praticamente dalla nascita. Come afferma John Bowlby, psicologo inglese, “l’estraneità viene identificata come segnale di pericolo e contemporaneamente l’attaccamento nei confronti della madre si rafforza: questo tipo di sviluppo è indispensabile alla sopravvivenza della specie” .
Il diverso: definizione e etimologia
Per comprendere a pieno il significato del termine diverso partiamo dalla sua etimologia. La parola italiana “diverso” deriva dal verbo latino divertĕre (composto di vertĕre, volgere) il cui participio passato (diversus) indica colui che segue un’altra direzione. Essere diverso ha così una sfumatura di senso più rigida rispetto ad essere differente, che implica una direzione anche solo parzialmente opposta o varia, non totale.
Anche i sinonimi italiani di diverso, tra cui strano, alieno ed ostile, hanno connotazioni negative e legate ad un concetto di differenza umana e geografica. Ostile, dal latino “hostilis” era usato per indicare lo straniero proveniente da altri territori, il nemico. Così come i termini “alieno” e “strano” che derivano rispettivamente dal latino “alienus” ed “extraneus”. Il primo rimanda a chi è diverso rispetto a un ambiente o contesto sociale, il secondo si traduce letteralmente “di fuori, straniero”.
Dunque cos’è il diverso?
Il forte legame tra il termine e un limite sociale e territoriale pone l’attenzione sulla lontananza fisica ma anche umana tra persone diverse. Ecco perché comunicare con il diverso è difficile e spaventa: come due paesi differiscono per lingua parlata, così due persone diverse faticano a comunicare la propria “lingua personale” fatta di un alfabeto di emozioni, sensazioni e modalità relazionali.
Vivere il diverso
E nella vita di tutti i giorni noi che relazione abbiamo con il diverso, con l’estraneo?
Spesso, quando ci relazioniamo con l’estraneo, reagiamo ascoltando alcuni pregiudizi (giudizi prematuri). Questi ci spingono ad avere sempre un atteggiamento negativo, di chiusura e di rifiuto nei confronti di chi appartiene a un gruppo che non è il nostro.
Insomma, si “attiva un processo che porta alla discriminazione di chi non rispecchia la nostra personalità, le nostre idee e che, inevitabilmente, genera una totale mancanza di empatia verso l’altro”.
Come affrontare il diverso con la comunicazione
4 consigli per migliorare la comunicazione con il diverso
Come possiamo allora entrare in relazione con il diverso? Come comunicare al meglio?
Possiamo iniziare da qui:
- Non partire con intenzioni rabbiose e rigide
Comunicare è bilaterale, ha due direzioni. Se iniziamo una conversazione fissi sulla nostra posizione cercando di portare l’altro a condividerla, stiamo negando la possibilità di avere due punti di vista diversi e frutto dell’esperienza di vita di due persone per l’appunto, diverse.
- Fai domande
Interrogare l’interlocutore permette di condividere i punti di vista mostrandone pregi e punti di debolezza. Permette di conoscere le basi del pensiero altrui prima di potervi rispondere, ma soprattutto mostra all’altro che lo stiamo davvero ascoltando.
- Mantieni la calma
La propensione iniziale all’ascolto e un clima di condivisione e accettazione sono necessari per una sana comunicazione. Il mondo virtuale e le chat online stimolano molto questo aspetto grazie alla loro infrastruttura, perché dilatano il tempo tra scrittura e risposta e permettono una riflessione, una pausa o sollievo che distende spesso gli animi durante una conversazione.
- Formula argomentazioni
Quando imponiamo il nostro pensiero lo assumiamo per vero, come un dogma, pretendendo che l’altro lo accetti senza alcuna obiezione. Argomentando le ragioni che ci spingono a difendere la nostra tesi permettiamo all’interlocutore di capirla esaustivamente, ma ammettiamo anche a noi stessi che questa possa avere pregi e anche difetti. L’altro proporrà poi la sua, instaurando un rapporto che discuterà entrambe le visioni in maniera positiva. La comunicazione diventa così a due vie, diversa, ma fruttuosa e sana.
Una storia di diversità
In conclusione, la paura per la diversità sembra proprio appartenere alla natura umana. È però indispensabile capire il confine oltre il quale questo tipo di paura è utile e quando invece, se oltrepassato, diventa disfunzionale. Dunque quando e come possiamo condividere, CON-VIVERE e trovare punti di connessione con il diverso?
Forse una breve storia di diversità può insegnarcelo.
Nella stessa stanza dello stesso appartamento, hanno vissuto e convissuto un israeliano e un palestinese. Può sembrare una freddura, o un’utopia…
Priel Korenfeld smentisce entrambe le ipotesi in una bellissima conferenza TED, durante la quale racconta la sua esperienza di convivenza e dialogo.
Lui, israeliano, spostatosi a Trento, inizia la convivenza con un palestinese. Il benvenuto del suo compagno di stanza è la sua bandiera appesa, e la richiesta di fare lo stesso con quella israeliana. Da qui Priel trae alcune considerazioni:
- Ognuno di noi ha tante etichette – identità
Siamo persone complesse, e ognuno di noi ha tante idee e convinzioni. Possiamo avere 1.000 etichette appiccicate addosso: dal genere, alla fede, dalla politica al gusto culinario, dallo sport agli hobbies. Uomini, donne, italiani, europei, africani, americani; cattolici, buddisti, credenti, non credenti, omosessuali, eterosessuali sono solo alcuni.
- Ciascuna etichetta ha importanza diversa
Da quale dei tanti attributi che ci definiscono veniamo descritti maggiormente? Quali i più rilevanti? E da qui…
- Le difficoltà di convivenza o comunicazione nascono proprio quando ci identifichiamo troppo in qualcosa
La scintilla che accende la miccia nasce proprio quando decidiamo di definirci in modo rigido e la contrapposizione con le definizioni altrui sembra non poter collimare assolutamente, è ovvio che sarà difficilissimo andare d’accordo.
Non siamo etichette fisse e chiuse, ma multiformi e mutevoli.
- Più conosceremo gli altri profondamente, più sarà facile la convivenza
Più infatti scopriremo i lati altrui, e più ne scopriremo le idee, le convinzioni. Più cose sapremo, e più potremo trovarci uniti su alcuni temi pur rimanendo divisi su altri. Diventa una specie di rete di sicurezza: anche se un filo si spezza, la rete non si spezzerà del tutto.
- Non ascoltare è il primo atto di violenza
Infine, Priel conclude insegnandoci che le parole violenza e muto, in ebraico, hanno una radice comune. Se noi rendiamo muta una persona, ovvero se non la ascoltiamo, compiamo un atto di violenza verso di lei. Violenza non è un atto fisico: ignorare, non ascoltare o non considerarla una persona degna di ascolto, interrompere e incalzare, sono tutte forme di violenza.
“L’ascolto è un vero atto di amore, perché quando ascoltiamo è come se dessimo all’altro il permesso di esistere”.
Bibliografia:
- Bowlby J., Attaccamento e perdita. 1: L’attaccamento alla madre, Collana Programma di Psicologia Psichiatria Psicoterapia, Torino, Boringhieri, 1976.
- Bowlby J., Attaccamento e perdita. 2: La separazione dalla madre, Collana Programma di Psicologia Psichiatria Psicoterapia, Torino, Boringhieri, 1978, Bollati Boringhieri, 1999.
- Bowlby J., Attaccamento e perdita. 3: La perdita della madre, Torino, Boringhieri, 1983.